Due cose mai avute o almeno di sicuro possedute ma mai privatamente godute. Di diari me ne hanno regalato qualcuno per il compleanno, dato che scribacchiavo idee, ma un diario richiede una disciplina e del metodo che non ho mai avuto. E poi a cosa serve? Non ho segreti che altri leggeranno furtivamente, non ho eventi poi così eccezionali da custodire e soprattutto non ho una cameretta dove segregarlo.
In infanzia condividevo il divano letto con mia sorella, sulla quale nottetempo, con le luci della penombra, vidi la testa piena di serpenti, dei quali avevo terrore. La mia Ostetrica Dell'Anima mi ha detto, anni e anni dopo, che se fossi stata indiana sarei divenuta subito una figura di riferimento per la capacità di vedere una manifestazione divina di tale portata, ma nel mio meridiano meridionale, una buona camomilla e le preghiere di una santona misero tutto a tacere. Il divano letto si trovava dentro la sala da pranzo, ovvero quella stanza dentro la quale non si vive, viene pulita e chiusa solo per l'arrivo degli ospiti o per le occasioni di festa. A me e mia sorella era consentito dormirvi, quasi un privilegio.
Mio fratello aveva il letto nella stanza in cui si vive, insomma tutti deficitari di privacy come dei sub affittuari, per di più da sfamare. Una volta sposata Letizia sono passati circa 2 anni di notti in divano letto e poi siamo andati a vivere nella ex casa da sposini dei miei genitori, riadattata con piccoli rimaneggiamenti che non hanno tenuto in nessun conto un mio potenziale ed educativo spazio personale: senza una porta da poter chiudere e dire adesso sono sola con me, i miei pensieri, i compiti, il disordine. Medesimo numero civico, casa di proprietà, in perenne stato di inquilino accampato.
Il letto inscritto in una struttura con armadio era collocato in un disimpegno fra il corridoio per la camera da letto dei miei, ed il bagno. Dalla sala che nessuno apre a quella dove tutti mangiano e colloquiano. Ergo, se avevo un malanno, non potevo stare in santa pace a meno che non mi trasferissi nel lettone che non era affatto un luogo rassicurante. Verso i miei 17 anni mio fratello si sposa e lascia lo spazio che 7 anni prima aveva edificato:un monolocale attrezzato di bagno e cucina ricavato da un ex pollaio e registrato con il suo reale uso di magazzino. Inizio ad avere una porta da chiudere, solo quando sono fuori casa, in quanto la finestra, non è una ariosa occasione di luce ma il grandangolo da cui tutti i familiari di passaggio guardano per entrare senza bussare. In un certo senso mi son sempre sentita violata nel mio bisogno di spazio. L'amichetta più sfigata aveva la SUA cameretta. Oggi quando torno in sicilia non c'è nulla di mio, non c'è una cameretta reliquia, ancora meno degli oggetti che testimonino tracce del mio passaggio. Oggi la mia tana in Tabina è un luogo di rifugio, ancor di più adesso che è disinfestato a dovere dal parassita. Un casino infinito fra i materiali di allestimento ed il bucato da stirare. Mi hanno detto: "non gira energia" rispondo adesso "non me ne può fregare di meno, qui giro io!" Mobili usati, una cucina ed un bagno quasi delle stesse dimensioni di quelli vissuti dai 10 ai 26 anni (assimilabili a corridoi), divano riposizionato, locandine degli eventi che ho preparato o amato, orologi quasi in ogni stanza e tante lumache dal porta tovaglioli alle calamite. La mia tana, un posto dove non è che mi trovi sempre ispirata ad accogliere qualcuno ma quando succede, salvo rare eccezioni, l'eco positivo rilancia d'allegria ogni singolo angolo. Son tanto brava a preparare le colazioni personalizzate. Nella tana si va in letargo, si accumulano le scorte, si svezzano i cuccioli. Da qui riparto per dormire, conservare le idee e gli oggetti che tornano sempre utili, fra queste mura che profumano di appennino e fiume stagnante nutro la piccola Irene che magari come Virginia Wolf desiderava una stanza tutta per se.
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