Coniugazione divorziata

In testa da un po' il pensiero del modo e del tempo che governa la coniugazione dei verbi. Forse sarà stata un altra stella che deflagra nel mio micro macro cosmo. Le origini non sono certe. Quello che ha permesso al mio sguardo di focalizzarsi è stata la canzone di Gino Paoli "Una lunga storia d'amore" interpretata da Max al concerto della Jazz Band VDR a Marzabotto.
Mentre la ascoltavo disegnavo mentalmente l'immagine che accompagna questo post. 
Quante volte nel comunicare con l'altro sarebbe utile cercare di capire di quale parte del grafico stiamo parlando. Non ho mai tenuto il conteggio a scatti dei "sei sempre la solita" più che un indizio la certezza della pena.  "Chi io? MAI!" Per cercare di discostarsi il più possibile dal grado zero dove l'ascissa del collezionamento scuse trova un punto di quiete prima di cadere in un altro infinito.
Utile ascoltarsi per capire cosa le alchimie del vivere stanno disegnando. Ascoltando la canzone di G.Paoli mi rendevo conto che non esiste in questo grafico il meglio o il peggio. Tutti i termini che concorrono puntano all'infinito, lì dove le anime vengono generate per poi fare questo viaggio finito chiamato comunemente vita. Quello che le mie mani ti stanno raccontando, intrecciate nelle tue è nella curva discendente fra sempre e presto, intanto i tuoi impulsi corrono, seppur generati dal medesimo istante sull'asse delle ordinate, fra Presto e Mai.  "Fai finta che solo per noi due passerà" sembra un pezzo de "la compagnia dei celestini" di Stefano Benni dove giocano a Pallastrada in modalità "facciamo che..". Il "fai finta" non è covo di menzogna ma immaginazione dove generare insieme un pezzo di racconto da intrecciare insieme come certi tappeti che diventano arazzi e non asciuga scarpe.
Lunga l'attesa fra un abbraccio e l'altro mentre il fegato si crogiola in un mai, spicca il suo volo verso il presto per ricadere nel tardi degli affanni.
 "Ora è già tardi ma è presto se tu te ne vai".
Quel rumore di velcro che fa salutarsi, sposta il cursore del battito fra un corto tardi ed un lungo presto. Quale suono melodioso di campanelli tintinnanti fa risalire la curva fra tardi e mai, nell'istante esatto in cui posso andarmene elegantemente a gambe levate da dialoghi inconsistenti per le mie orecchie, in quei mondi che non comprendo e che non mi sforzerò di comprendere seppur generati dal medesimo punto sulle ordinate. "Io ti conosco da sempre e ti amo da mai". 
 Non sempre il sempre è per sempre.
 Qui io sono un essere finito, come faccio a promettere l'infinito qui ed ora? Mai dire mai, perché mai e poi mai potrò dire di quest'acqua non ne bevo. Ed è presto alzarsi alle 5 se l'appuntamento è alle 10, ma è tardi salutarsi senza neanche essersi baciati.  Quale è il logaritmo, la funzione che disegna il mio vivere? Risveglio le domande ogni giorno, e con il carburante del cielo immenso che ho dentro, alimento un altro giro di giostra in questo andamento che osservo con curiosità e tenerezza. E mentre temo che la mia formazione da perito meccanico venga sempre contaminata dalla poesia del mio animo narrativo, roviniamo per SEMPRE gli orecchi degli amici che MAI mi perdoneranno l'interpretazione karaoke (clicca qui) di questo capolavoro. Al più TARDI vivo un PRESTO che mi fa correre senza fiatone per mano a questa evoluzione di me che agita il suo battito nel tempo finito delle ore che la vita mi concede per amare.

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