Iré.... io andrò.


Il mio nome anagrafico è corto, 5 lettere con un bel significato e nel parlato colloquiale viene spesso ridotto ad Iré. Chi mi frequenta sa che non mi piacciono le distorsioni del mio nome sotto qualunque forma. Questo quel che ho sempre pensato di un nome guardiano prima di una virgola che difende la mia persona dal Titì Caterina di materna derivazione. Mi sono sempre partite delle espressioni sommessamente furiose all'udire le variazioni su tema Irene dal diminutivo allungato Irenuccia, Irenina, britannizzato in Airin e solo a mia sorella Letizia era concesso chiamarmi Nenè, talvolta mia madre emette un urlo acuto che dovrebbe essere un Airì ma è così assordante da essere irrilevante.
Irene fu una scelta di Letizia proprio per non dover spiegare sempre a tutto il mondo che Titì Caterina erano i nomi della nonna e che non ero un mal collocato uccellino di Gatto Silvestro. Alla fine però tutti ci avrebbero fatto l'abitudine e di sicuro è più insolita una che si chiama Titì da una Irene. Ho difeso l'integrità delle 5 lettere in una battaglia che non mi appartiene. Non mi porta benessere far scattare nervi ed occhiatacce a chi, senza l'intenzione di urtarmi, mi chiama Iré anzi proprio per trasporto affettuoso. Ire in sicilia, nell' italiano arcaico, in alcuni dialetti è voce del verbo andare. In spagnolo Iré è la prima persona al futuro. Io andrò. Non so con quali mezzi, ¡yo Iré! Di sicuro con il bene di chi dopo avermi chiamata Ire si morde la lingua. Altro dolore senza senso. Riconoscerò il mio nome dalle lettere di cui è composto, dal bene con cui viene pronunciato, dalle virgole che lo circondano e dai punti e a capo di un nuovo capitolo del medesimo libro.

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